Quando cadi, il mondo intorno a te si ferma per un istante.
La vista si oscura, alle orecchie non arrivano suoni, non provi nulla, neanche dolore.
Per qualche secondo resti a terra a crogiolarti in quel limbo, a godere della libertà, dell'assenza di peso di chi si è finalmente liberato di sé stesso.
Poi uno schiaffo, le prime voci si impossessano prepotentemente del vuoto, ne sradicano l'essenza, lo colorano, lo riempiono.
Ti metti a sedere e, con il cuore che riprende a pulsare, arriva il dolore.
Guardi le ferite per valutare i danni e vedi la pelle lacerata e la carne scoperta, ma niente sangue. No, niente sangue dapprima, perché lui è così: gli piace temporeggiare, farsi attendere, e solo quando è sicuro che tu stia trepidantemente guardando, allora esce a fiotti.
Insanguinato e dolorante ti ributti a terra, chiudi gli occhi e cerchi mentalmente la strada per qual posto favoloso in cui eri etereo ed invincibile e il tuo cervello ancora non capiva quel che era successo.
Sangue, lacrime, sudore.
Vorresti che tutto finisse, che il cielo si spaccasse in due, che dai calendari fossero cancellati tutti mercoledì, ma anche i giovedì e i venerdì che tanto a te non servono più. Ti rotoli per terra e fai i capricci perché il dolore è più grande della dignità.
Ma poi, senza che tu abbia dato ordini precisi al tuo corpo, tremore e singhiozzi si affievoliscono fino a scomparire, le lacrime si asciugano ed il sangue si secca attorno ai tagli ed ai graffi.
Perché succede?
Il dolore e la sofferenza sono identici all'istante in cui sono diventati concreti, ma qualcuno ti impone di ritrovare un contegno, un maledetto e insensato contegno.
Ma chi e con quale autorità ti priva del diritto d'esser miserabile?
Deluso e zoppicante riprendi la tua strada coperto di croste e lividi, le persone che incontri vedono te, ma guardano le tue ferite. Qualcuno storce il naso, infastidito dal fatto che le tue contusioni rovinino il paesaggio, qualcun altro si alza un po' i pantaloni, ti mostra una piccola sbucciatura sul ginocchio e dice che ti capisce perché anche lui ci è passato, qualcun altro ancora continua a fissarti e, spinto da una morbosa curiosità, non trattiene domande e allunga le mani per toccare le tue ferite.
Quanta pena e quanto disprezzo.
Un giorno ti accorgi che croste e lividi sono spariti lasciando cicatrici più o meno profonde. Le copri meglio che puoi per evitare sguardi e domande e riprendi a camminare chiedendoti perché il dolore non se ne sia andato, perché la sofferenza sia ancora profonda e tangibile come l'istante in cui il sangue ha iniziato a zampillare.
Ti avevano detto che sarebbe passato e tu pensavi al dolore, ma come può quando il ricordo del momento in cui hai toccato terra dopo un interminabile volo è così vivo e urlante?
Dicono che non ci sia niente di più vero e bello del momento in cui trovi la forza di alzarti scrollandoti la polvere di dosso.
Dicono un sacco di cose, ma la maggior parte sono cazzate.