12 aprile 2011

22:28

“Che ti succede?”
Voltai la testa, come ridestandomi, e guardai sopra la mia spalla sinistra.
Piotr stava lì, dritto e marziale come sempre, col volto illuminato dal fuoco e gli occhi da chissà quale pensiero, i piedi ben piantati a terra e il braccio destro teso verso di me.
Afferrai la birra che mi porgeva e lui si sedette sul suo giaciglio, a pochi passi dal mio.
“Che ti succede?” Disse ancora.
“Nulla, solo un po’ di malinconia…” Risposi tornando a guardare le fiamme.
Malinconia… Non conosco questa parola.” Piotr armeggiava attorno al collo della sua bottiglia col coltello multiuso, ad un tratto si bloccò e provò ad indovinare: “Sei triste?”.
“No” sorrisi, “Non sono triste”.
“E allora cosa è questa malinconia?”
“La malinconia è quando te ne stai seduto a duemila metri in una notte come questa, davanti ad un fuoco, con una birra in una mano ed un pensiero felice nell’altra. Quando sei in compagnia di un alpinista solitario, che viene da una nazione senza montagne e che gira il mondo scalando le cime più impegnative, solo per appendere in cima per pochi minuti la piccola bandiera che tiene sempre in tasca e, dopo averla guardata sventolare lassù, la stacca e la riporta a valle con sé, perché sua madre ragazzina fece quella bandiera clandestinamente, quando il suo Paese non esisteva ancora e lui non la regalerebbe neanche al monte Everest.”
Piotr sorrise sentendosi tirato in causa.
“La malinconia è quando la radio suona la tua canzone preferita, quando una bella ragazza ti sorride per strada, quando ritrovi quello che credevi di aver perso, quando va tutto bene, quando tutto è perfetto, ma tu… Beh tu…”
Bevvi un sorso di birra e mi girai verso di lui che mi stava fissando con la bottiglia stretta nelle due mani.
“Nonostante tutto questo, tu non riesci ad essere pienamente felice, capisci?”
Non rispose. Mi guardò intensamente, tanto che mi sentii in imbarazzo e mi voltai di nuovo verso il fuoco.
Con la coda dell’occhio lo vidi girarsi e così rimanemmo qualche minuto in silenzio, ognuno preso dai propri pensieri.
Piotr si allungò e raccolse due pezzi di legno dalla catasta, il più grande lo gettò nel fuoco mentre tenne per sé il più piccolo ed iniziò a giocherellarci.
Disse:
“Sai, scalare una montagna è molto difficile, serve tanto impegno, tanta preparazione, tanto sacrificio…”
Lo guardai e stava sventolando davanti a sé il legno che aveva in mano come se fosse un direttore d’orchestra.
“Arrivare in cima e vedere la bandiera di mia mamma sventolare è la mia perfezione, il mio tutto.” Disegnò un cerchio nell’aria, poi rimase in silenzio qualche istante mentre la mia impazienza cresceva.
“Quando inizio la discesa divento triste, come dici tu: malinconia. Sono sempre più triste e, quando arrivo al campo, inizio a preparare una nuova arrampicata perché non voglio essere triste, voglio trovare un'altra montagna, un’altra asta per la bandiera di mia mamma.
Allora parto e guadagno una nuova cima e tutto torna ad essere perfetto, anche se il ricordo di tutti gli altri momenti perfetti che non torneranno più è sempre lì, accanto a me.”
Mi guardò paternamente e poi aggiunse: “Ci ho messo tanti anni, ma poi ho capito che il ricordo di qualcosa di bello che ora non c’è più, non rende meno bello quello che c’è ora, ma rende te più grande, più completo.
Quando sarò su quella vetta dopodomani” disse indicando col bastone un punto imprecisato nel buio “sarò felice di aver portato le mie vecchie ossa lassù e sarò triste per tutte altre montagne sulle quali non salirò mai più.”
Mi raddrizzai, ero confuso. “Come puoi essere felice ma triste?” Dissi scuotendo la testa con supponenza “E’ un controsenso…”.
Piotr rise di gusto della mia ingenuità giovanile, poi si alzò, fece due dei suoi lunghi passi verso di me e mi mise una mano sulla testa.
“Non ho detto felice ma triste, io ho detto felice e triste”.