13 aprile 2016

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In ritardo di dieci anni, come un treno. 

Dieci anni ad aspettare sulla banchina, diligentemente lontano dalla linea gialla, coi miei stracci in una borsa e un gran casino in testa.
Dieci anni a guardare gli altri partire per chissà dove, a camminare avanti e indietro, un po’ impaziente, un po’ annoiato, un po’ sollevato in questo limbo di cemento e binari morti.
Dieci anni passati come dieci giorni.
Dieci anni passati più veloci di dieci ore.

In ritardo come un treno

Dieci anni ad aspettare per capire che non c’è fretta, che i treni non sono in ritardo, che gli orari sono solo numeri, non leggi, e che, se anche fossero leggi, i treni se ne fotterebbero perché sono un po’ anarchici, o forse solo liberi (il che fa ridere per chi può andare solo dove decidono i binari… Ma a loro non ditelo che non se ne sono accorti!).
Dieci anni per capire che partire non vuol dire nulla se non hai deciso dove vuoi andare, che i biglietti di sola andata non esistono e che quelli andata e ritorno non ti riportano mai dove sei partito.

Dieci anni ad aspettare che fosse il treno giusto, nel momento giusto.

Dieci anni, e non ho ancora detto: cazzo!